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Italia «polare»: l'apocalisse bianca
del gennaio 1709

di Nino Gorio

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23 GENNAIO 2009

Il lago di Garda e la laguna di Venezia coperti da una calotta quasi polare, su Roma nevicò dieci volte in meno di un mese. Quell'inverno eccezionale era il culmine di una «piccola glaciazione», in atto dal Medio Evo

Restare bloccati con la nave nel porto di Genova, paralizzato dal ghiaccio. Attraversare con un carro a buoi il Lago di Garda, coperto da una superficie gelata stile calotta polare. Vedere Roma ridotta a una Siberia, sepolta da ben dieci nevicate cadute in meno di un mese. Assistere impotenti alla morte per freddo non solo degli ulivi e delle viti, ma anche di piante resistenti al gelo, come meli, peri e noci. Registrare temperature sotto i – 25° a Parigi, sotto i –29° a Berlino e sotto i –17° persino in una città vista-mare come Venezia.

Oggi tutto ciò può sembrarci impossibile, anche in inverni più turbolenti e più rigidi della media, come quello in corso. Eppure l'«apocalisse bianca» descritta sopra ci fu davvero e coinvolse quasi tutta l'Europa: curiosamente, l'unica zona che ne restò indenne fu la Scandinavia, dove le temperature si mantennero relativamente miti. Accadde 300 anni esatti fa, nel gennaio 1709, quando Milano era da poco sotto il dominio degli austriaci, Napoli provvisoriamente anche, e a Roma regnava papa Clemente XI, ex-vescovo di Faenza.

Proprio a Faenza, in quell'inverno da brivido (il più freddo che si ricordi), si registrò il record del gelo, almeno per quanto riguarda l'Italia: cronisti dell'epoca riferiscono di un –36°, registrato fuori porta intorno all'Epifania. In realtà gli storici moderni nutrono qualche dubbio su questo dato, perché non risulta che la città romagnola disponesse di osservatori meteorologici adeguati, in quegli anni conquista recente ed esclusiva di altre città più importanti. Ma sui –17° di Venezia non ci sono dubbi, anche perché la Laguna ghiacciò completamente.

Il «pack» del lago di Garda e della laguna di Venezia
Non era la prima volta che la Serenissima veniva assediata da una calotta simil-polare: infatti si ha notizia di eventi analoghi nel 1432 e nel 1489. E non fu neppure l'ultima, perché nel secolo successivo tutto si ripetè più volte: nel 1740, nel 1747 e nel 1755, quando un drappello di soldati marciò sul «pack» da Mestre al Canal Grande. Però mai il ghiaccio fu spesso (40 cm) e duraturo (23 giorni) come nel 1709. Le gondole iniziarono a liberarsene solo il 29 gennaio. E a febbraio inoltrato intorno a S.Marco galleggiavano ancora molti «iceberg».

Senza precedenti né replay fu invece il congelamento del Garda, che di norma gode di un microclima mite. E fenomeno rarissimo, anche se non esclusivo, fu l'analoga sorte dei grandi fiumi, testimoniata da varie fonti: «Addì 23 gennaio ho visto il Po congelato e passare tre persone dalla riva di Guastalla a Correggioverde a piedi, cosa che non si è mai veduta» scriveva un parroco mantovano. E un cronista di Reggio confermava: «Il freddo fu così acuto che gelò il Po per uno spessore di 16 once e passavansi sopra uomini cavalli e carri».

A cos'era dovuto quell'inverno così eccezionale? A due fattori combinati: il culmine della cosiddetta «piccola glaciazione» e il prevalere dell'«anticiclone termico russo». La piccola glaciazione è (o meglio fu) un marcato raffreddamento generale del clima terrestre, che si verificò per cause ignote dal XII secolo fino a tutto il ‘700 e al primo ‘800 e che portò fra l'altro all'espansione dei ghiacciai alpini oltre le dimensioni attuali. Dall'800 in poi, come noto, è in atto un fenomeno inverso, che si è particolarmente accentuato negli ultimi decenni.

Quanto all'«anticiclone termico russo» (in gergo detto «orso»), è una grande area ad alta pressione e basse temperature, che tuttora si forma quasi ogni inverno nell'atmosfera dell'Asia settentrionale e che tende a dilatarsi a sud-ovest, contrastata dalle correnti atlantiche che soffiano regolarmente sull'Europa e che portano le normali perturbazioni. Quando l'«orso» prevale sulle correnti atlantiche, la temperatura crolla e le perturbazioni si sciolgono in nevicate abbondanti, come quella famosissima che interessò l'Italia nel 1985.

Fu per queste due cause combinate che nel primo ‘700 l'Europa si trasformò in una sorta di Siberia. E forse, almeno per un mese, il nascente secolo dei lumi rimpianse il "buio" Medio Evo. Infatti allora, cioè ai tempi dei vichinghi e delle crociate, i passi alpini erano transitabili anche in inverno, in Groenlandia («Terra Verde») si coltivavano cereali, e sulle montagne di Piemonte e Lombardia mandrie di mucche pascolavano a quote oggi impensabili, fin oltre i 3mila metri. Insomma: per quanto buio fosse, il Medio Evo sapeva essere caldo.

Ma quel disastro fu un investimento
Per l'agricoltura gli effetti economici di inverni eccezionali come quello di 300 anni fa possono essere disastrosi sul breve termine, ma sono positivi sul lungo. Così nel 1709 raccontava gli effetti a breve un anonimo cronista di Angers (Valle della Loira, Francia): «Tutto quello che era stato seminato andò completamente distrutto. La maggior parte delle galline morì di freddo, e così pure il bestiame nelle stalle. Al poco pollame sopravvissuto si vide congelare e cadere la cresta. Molti uccelli, anatre, pernici, beccacce e merli, morirono e furono trovati stecchiti sulle strade e sugli spessi strati di ghiaccio e di neve. Querce, frassini ed altri alberi di pianura si spaccarono per il gelo: due terzi dei noci morirono. Anche due terzi delle viti perirono, e tra queste le più vecchie».

  CONTINUA ...»

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